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Francesco Martelli e la Repubblica napoletana del 1799

  •   Redazione
Francesco Martelli e la Repubblica napoletana del 1799

di Fortunato StelitanoFrancesco Martelli nacque a Staiti il 19 agosto 1771 dal matrimonio fra Domenico e la magn. Antonina Caracciolo. Intraprese i primi studi sotto la guida dell'arciprete Leocani e dello zio sacerdote Bruno Martelli, proseguendo poi la sua formazione presso il Seminario della Diocesi di Bova.

La scarsa documentazione conservata non ci consente di conoscere la data effettiva della sua ordinazione sacerdotale; sappiamo solo che trascorse i suoi primi anni di ministero a Staiti fino al triennio repubblicano.

Allo scoppio della Rivoluzione aderì subito a quelle che erano le istanze del movimento riformatore, rafforzando e rinvigorendo le idee liberali da tempo perseguite dai suoi familiari. Volendo partecipare attivamente alle varie fasi della breve ma incisiva vita della Repubblica, già da tempo manteneva continui contatti con i patrioti della città di Reggio, aspettando l'occasione propizia per un suo maggiore coinvolgimento mediante l'avvicinamento a Napoli.

Si unì alla compagnia di Girolamo Arcovito, entrando poi a far parte della Legione Calabrese che rappresentava l'unità militare più consistente tra le truppe rimaste a Napoli il cui capoera Antonio Toscani da Corigliano; in seguito, una parte di essa (circa 150 legionari) tra cui Francesco Martelli, vennero dislocati nel forte di Vigliena. Tale presidio si trovava nel quartiere di San Giovanni a Teduccio nella zona più meridionale della città di Napoli e quindi in prima linea quando da sud giunsero i Sanfedisti del cardinale Ruffo. 

Il 10 giugno 1799, dopo aver attraversato la Calabria, la Basilicata e la Puglia, le bande della Santa Fede erano giunte a Portici e avevano cominciato ad attaccare il forte di Vigliena.

Nei due giorni successivi i Sanfedisti continuarono ad attaccare il presidio al fine di controllare il ponte della Maddalena, ma vennero continuamente respinti dai legionari repubblicani. Il 13 giugno 1799 il cardinale Ruffo ordinò alle sue truppe di procedere verso San Giovanni a Teduccio, ma ancora una volta il fuoco proveniente dal forte e dalle navi dell'ammiraglio Caracciolo li faceva indietreggiare. Fu così che nel tardo pomeriggio il Cardinale decise allora di far intervenire il colonnello Rapini con tre sue compagnie del Reggimento “Reali Calabresi” che, giunte fin sotto il forte, vennero puntualmente respinte dai repubblicani. A questo punto, Rapini fece avanzare una batteria di cannoni russa che avrebbe dovuto sgretolare le mura del forte e lanciò l'ennesimo attacco. La battaglia fra Sanfedisti e Repubblicani continuò a lungo, causando gravi perdite da entrambe le parti. Intorno alle ore 22.00, quando ormai era buio, un gruppo di assalitori si fece largo e, salendo uno sull'altro, riuscì a raggiungere i cannoni del forte puntandoli contro le navi del Caracciolo. La situazione, già precaria per le numerose perdite, divenne insostenibile: i Repubblicani, da circa 150 si erano ridotti a una sessantina di unità.

Dopo mezz'ora i difensori si erano ulteriormente ridotti a una ventina, tutti riuniti sul lato sinistro del forte. Quando la situazione precipitò, Martelli e Pontari si avvicinarono al Toscani e gli proposero di non arrendersi e di dare fuoco al deposito di polvere da sparo che si trovava vicino a loro. I tre non esitarono un attimo e pronunciando un ultimo evviva alla libertà diedero esecuzione all'eroico disegno. Lo scoppio fu tremendo; Repubblicani e Sanfedisti perirono sotto le macerie del forte.

“In quel punto – scrisse Dumas - s'intese una spaventevole detonazione, ed il molo fu scosso come da un terremoto; nel tempo istesso l'aria si oscurò con una nuvola di polvere, e, come se un cratere si fosse aperto al piede del Vesuvio, pietre, travi, rottami, membra umane in pezzi, ricaddero sopra larga circonferenza”.

Solo pochi si salvarono e chi riuscì a ritornare a casa raccontò ai familiari quanto era realmente accaduto la sera di quel tragico 13 giugno 1799. Vittorio Visalli ricorda il nome di soli 15 eroi; di essi morirono il Toscani, il Martelli, il Pontari, Francesco Castiglia di Messina, Diego de Mattia di Vallo, Orazio Sersale di Cerisano; i sopravvissuti furono Vincenzo Fabiani di Grotteria, l'abate Francesco Salfi, Domenico Muratore di Cittanova, Bonaventura Labonia di Rossano, Gian Andrea Cedraro, Gaetano Morgera, Giuseppe Antonio Verardi, Girolamo Arcovito e Nicola Bosurgi. Alcuni dei sopravvissuti furono poi giustiziati dalla Giunta di Stato.


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